La festa di una famiglia dove si confonde chi serve e chi è servito

… Una Comunità in cui non si distingue chi serve da chi è servito, un vero popolo… così S.E. Mons. Giovanni Angelo Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato per gli Affari Generali, ha iniziato l’omelia della liturgia da lui presieduta per il quarantaseiesimo anniversario della Comunità di Sant’Egidio.
Un popolo, formato da anziani, disabili, Rom, stranieri, giovani, uomini e donne che cammina da anni per le vie del mondo, l’uno accanto all’altro, si è fermato nella grande Basilica di San Giovanni in Laterano per festeggiare il compleanno della Comunità di Sant’Egidio. Una liturgia solenne e bellissima, a cui hanno preso parte numerosi preti e vescovi, sia cattolici che delle Chiese Sorelle, che insieme a tanti amici e autorità hanno voluto festeggiare con il “popolo di Sant’Egidio” nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Un luogo che, come ha evidenziato il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, ha un valore aggiunto perché è la Cattedrale di Roma e senza Roma non ci sarebbe stata la Comunità di Sant’Egidio.
Ma in un mondo frenetico che cambia modo ogni sei mesi e che etichetta come “vecchio” e superato qualunque cosa abbia più di qualche anno, che senso ha di festeggiare una Comunità che compie ben 46 anni?
Penso che il ritrovarsi assieme anno dopo anno, non fa sentire più “vecchi” e superati ma al contrario più maturi e capaci di affrontare le nuove domande del mondo. Domande che il più dellevolte sono disattese, proprio perché si tende a cercare qualcosa di sempre più nuovo, che alla fine nuovo non è. Come il dramma della Siria che troppo spesso rischia di essere dimenticato, ma che invece attraverso la preghiera non viene mai archiviata come “vecchia” o superata. Si è dimostrato che il problema non è “invecchiare” ma non lasciarsi sopraffare dal quel senso di sentirsi “arrivati”, perché il cammino è lungo e solo insieme come un vero popolo si potrà rimanere giovani nonostante gli anni che passano.

Diego Romeo

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